La sfida legislativa e la condivisione reale
Una prospettiva di convergenze e di consapevolezza
La questione delle diseguaglianze assume sempre toni e modalità di approccio apparentemente diversi che contribuiscono a definire il campo lasciandolo però al suo destino. Fino a dichiararne l’insostenibilità come decretato con la recente stesura del Piano strategico nazionale (2025) che rischia quasi, specie in alcune parti, di sostituirsi di fatto alla formula dell’autonomia differenziata. Una strategia quasi da “abbandono terapeutico” come segnale di resa da un lato e di scarsa consapevolezza anche di quanto positivamente si inserisce nelle agende istituzionali dall’altro.
Le sintesi, un po’ affrettate e basate esclusivamente su dati statistici, sembrano a volte allontanarsi dall’idea che si possa e si debba lavorare su comunità e sviluppo locale utilizzando interventi più mirati e meno generici (pur nella focalizzazione di ambiti precisi), soluzioni concrete sganciate dagli interessi della politica e delle economie della competizione aggressiva. Bisogna soprattutto agganciare il tema delle aree fragili alla ritrovata capacità di autodeterminazione e partecipazione delle popolazioni verso un orizzonte adeguato all’evoluzione della storia e delle scelte territoriali.
PIÙ E MENO
Dalle definizioni degli studiosi per descrivere le aree interne emerge in realtà una su tutte che è MENO. Meno popolazione, meno nati, meno giovani, meno lavoro, meno collegamenti, meno servizi, meno speranze. Tutti meno che si traducono in divario, disuguaglianze e povertà. Ma anche quando potremmo declinare la parola PIU’ finiamo sulla barra del MENO.
Abbiamo la possibilità di un passato da far vivere e rendere produttivo per i territori ma sempre meno parole davvero nuove da spendere nel presente per trascinarlo nel futuro. E non solo per il calo del numero dei “partigiani del racconto” bensì per il drastico abbassamento del livello di comunità e di dialogo che le società locali esprimono anche nella quotidianità. Il PIÙ, relativo alla conquista del wi-fi e della banda larga, a esempio, è neutralizzato dalla mancanza di partecipazione reale.
Il Forum delle Aree Interne in questi anni ha cercato di lavorare su questo perché ritiene necessaria una diversa declinazione della problematica che investe le realtà più fragili del Paese, che attraversano e coinvolgono tutte le regioni rendendo la problematica oramai questione nazionale, specie per lo spopolamento e per il calo demografico.
L’azione svolta dal Forum, insieme ai vescovi di numerose diocesi italiane, a partire dal 2019, ha contribuito a delineare nuovi confini e diverse letture delle criticità e delle potenzialità di certi territori e soprattutto le troppe contraddizioni che lastricano il percorso verso un’organica e produttiva azione di sviluppo e di integrazione. Tra esse il numero eccessivo di leggi che fanno riferimento alle aree interne ma rimaste in parte inapplicate perché poco conosciute e/o appesantite da procedure complesse.
È stata prodotta una ricerca, quale contributo preliminare, per l’adozione di una sorta di “Testo Unico delle aree interne”, che chiarisca e orienti enti, istituzioni e comunità verso un approdo convinto e convincente in cui certi territori possano trovare motivi e opportunità per sperare di evitare abbandono, spopolamento e rischio di estinzione.
Riteniamo che serva un piano, oltre la Strategia nazionale, che va comunque ottimizzata, per garantire il diritto delle popolazioni a salvaguardare e coltivare la propria storia organizzando il loro futuro nelle terre di origine. Pensiamo che si debbano raggiungere obiettivi concreti e mirati secondo una diversa visione dell’intervento dello Stato e delle Regioni.
Superare la logica distributiva di fondi (molti dei quali arrivano spesso prima ancora dei progetti) per coltivare, valorizzare e sostenere la resilienza delle popolazioni con una particolare attenzione alle relazioni intergenerazionali, al protagonismo e alla creatività dei giovani. Altra svolta necessaria sarebbe quella di classificare le aree interne non esclusivamente secondo i pur tanti “meno” (meno servizi, meno opportunità di collegamenti materiali e digitali, ecc.) ma anche relativamente al patrimonio di cultura, di solidarietà, di salvaguardia del racconto e delle tradizioni, di reciprocità e sussidiarietà che esse contengono. Una visione qualitativa e non soltanto quantitativa dovrebbe presiedere a una rinnovata attenzione, sincera e non demagogica, della questione aree interne del Paese. Bisogna sottolineare che molti piani governativi introducono sì il concetto di qualità ma esso resta mera dichiarazione d’intenti.
In un contesto d’impegno e di collaborazione, il Forum delle Aree Interne, intende contribuire allo sforzo comune per rilanciare e rendere realmente produttiva la materia legislativa esistente, oltre a favorire interventi concreti e ispirati a un complessivo e articolato pacchetto di attese delle popolazioni interessate.
LO STATO DELL’ARTE SUL PIANO LEGISLATIVO
2013: Istituzione dell’Agenzia per la Coesione Territoriale – SNAI con L. 27 dicembre 2013, n. 14 per contrastare l’alto grado di spopolamento, di marginalizzazione e di degrado delle aree interne collinari.
Ne consegue:
La definizione di aree interne
La previsione di attuazione di due livelli d’intervento, con due classi di azioni:
o servizi per la salute, scuola, mobilità
o tutela del territorio, valorizzazione delle naturali e delle comunità locali, valorizzazione delle risorse naturali culturali e del turismo sostenibile, sistemi agro-alimentari e sviluppo locale, risparmio energetico e filiere locali di energia rinnovabile, saper fare e artigianato.
2014-2020: fondi pubblici e politica di coesione
Le varie tappe:
Sperimentazione della strategia attraverso l’attivazione di fondi pubblici, europei e da partenariati pubblico-privati su 71 aree pilota.
Documento accordo di partenariato, approvato dalla Commissione europea, che “definisce la strategia e le priorità di tale Stato membro nonché le modalità di impiego efficace ed efficiente dei fondi SIE al fine di perseguire la Strategia dell’Unione per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”.
Il pacchetto legislativo sulla politica di coesione 2014-2020 (IT, EN, FR) introduce importanti cambiamenti, quali un coordinamento rafforzato della programmazione dei quattro fondi comunitari collegati al Quadro Strategico Comune 2014-2020 in un unico documento. La decisione di esecuzione della Commissione è del 20 gennaio 2020. Questa modifica la decisione di esecuzione che approva determinati elementi dell’accordo di partenariato con l’Italia.
Da tenere presente:
Nel 2020 il valore complessivo delle strategie approvate sulle 71 aree è stata pari a 1,142 miliardi di Euro divisi in 261 milioni di risorse statali, 693 milioni dai programmi finanziati dai fondi europei (FESR, FSE, FEASR, FEAMP), e 189 milioni da altre risorse pubbliche e private. La strategia stima inoltre un effetto leva da 1 a 4 per gli interventi rispetto alle risorse del Patto di Stabilità.
Nel corso del 2020 sono stati stanziati ulteriori 310 milioni di Euro di fondi statali per premiare le aree pilota con le performance migliori e più coerenti con la strategia, e per attivare almeno 2 nuove aree pilota per Regione, processo che avverrà tramite una manifestazione di interesse.
Lo Stato, in seguito, firma altro Accordo di partenariato relativo al ciclo di programmazione 2021-2027, approvato con Decisione di esecuzione della CE il 15 luglio 2022, che mette a disposizione 75,3 miliardi di euro di Fondi Strutturali e di Investimento, tra risorse europee e cofinanziamento nazionale.
Le risorse:
Il nuovo ciclo vede alcune modifiche nella classificazione delle singole regioni. Infatti, sono considerate “in transizione” non solo l’Abruzzo, che si conferma in questa categoria, ma anche Umbria e Marche (precedentemente tra quelle “più sviluppate”). Le regioni “meno sviluppate” sono quelle rimanenti del Mezzogiorno (Campania, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna), mentre le “più sviluppate” comprendono quelle del Centro-Nord, con l’esclusione di Umbria e Marche.
Se si esclude la quota riservata alla CTE, le risorse europee e nazionali dei Fondi strutturali si distribuiscono come segue tra le tre aree:
o regioni più sviluppate: 23,882 miliardi di euro;
o regioni in transizione: 3,612 miliardi di euro;
o regioni meno sviluppate: 46,575 miliardi di euro.
Infine il Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (PNRR), il documento stipulato dal governo per l’accesso ai finanziamenti del Next Generation EU, prevede di integrare i fondi destinati alle aree interne per un importo di 2,1 miliardi di Euro durante il periodo 2021-2027.
I PRIMI RISULTATI
Si stima che 30 milioni di persone abbiano abbandonato o abbandoneranno le zone rurali d’Europa tra il 1993 e il 2033. Le aree interne dell’Italia vedono, nonostante alcuni interventi operati con parte di predette risorse, un progressivo spopolamento e abbandono del territorio.
L’analisi dell’andamento dei cicli di programmazione, in particolare del periodo 2007-13 e 2014-20, pone in evidenza come l’Italia, uno dei maggiori beneficiari dei fondi della coesione, si collochi, nel confronto con gli altri Paesi membri, agli ultimi posti per efficienza ed efficacia nell’utilizzo delle risorse assegnate e, di conseguenza, per la capacità di massimizzarne l’impatto.
Comprendere le ragioni di tale condizione richiede una lettura il più possibile oggettiva del reale stato di avanzamento della politica di coesione, per coglierne le effettive lacune e individuare margini di intervento per consentire alle regioni italiane di beneficiare pienamente delle opportunità offerte da quella che possiamo a ragione considerare la più importante politica di investimento dell’Unione europea.
Nel 2022, nonostante la mole di risorse investite in Italia nell’ambito della politica di coesione a partire dal 1994, l’Ottava relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale della Commissione europea pone in evidenza come l’Italia sia uno dei Paesi in cui l’attesa riduzione dei divari tra le regioni non si sia verificata, e che, al contrario, dimostri una tendenza all’aumento delle disparità.
La Commissione sottolinea che i Paesi che si trovano in questa condizione vivono la “trappola dello sviluppo”, e, in particolare, le regioni nelle quali questa condizione persiste per almeno 15 anni sono definite “intrappolate nello sviluppo”
Si tratta delle regioni che, pur ricevendo un sostegno sostanziale dalla politica di coesione, hanno stentato a sostenere una crescita a lungo termine, e presentano, come tratti comuni, bassi livelli di valore aggiunto nell’industria, di qualificazione del capitale umano, di innovazione e qualità istituzionale. Tali regioni sono particolarmente concentrate in Italia.
Il grave ritardo nell’avanzamento della spesa, che si traduce inequivocabilmente nel rischio di comprometterne gli obiettivi più importanti, è quello per l’effettivo sviluppo del territorio.
Nel mese di gennaio 2023, la Corte dei Conti, nell’ambito della «Relazione annuale 2022 sui rapporti finanziari Italia/UE e sull’utilizzo dei Fondi europei», nel considerare le importanti interconnessioni tra il PNRR e gli interventi della politica di coesione, auspica, alla luce dello stato di avanzamento della programmazione 2014-20, che vi sia una “vera inversione di rotta” nell’attuazione di tali politiche e nella capacità di spesa delle risorse europee che definisce “preoccupanti”. Relazione, questa, approvata con Delibera n. 1/2023 dalla Sezione di controllo per gli affari comunitari e internazionali della Corte dei conti.
CRITICITÀ ALLARMANTI
A tale evidenza, già estremamente grave, si aggiunge la constatazione, ancora più preoccupante, che l’impiego delle risorse nazionali è fermo a livelli di molto inferiori rispetto alle risorse europee.
A dispetto del disegno originario, delle finalità e dei principi sanciti dai Trattati, in Italia non è stata garantita l’”addizionalità” delle risorse della politica di coesione, in quanto tali politiche hanno agito in sostituzione di quelle ordinarie, anche in considerazione dei continui tagli alla spesa per investimenti.
La lettura congiunta dei dati relativi alla programmazione e all’impiego dei Fondi strutturali e dei Fondi nazionali, che avrebbe dovuto evidenziare una comune tensione verso il perseguimento degli obiettivi della coesione, necessaria a garantire l’impiego aggiuntivo delle relative risorse, ha dimostrato invece nel tempo una sempre più debole integrazione e focalizzazione sugli obiettivi programmatici con duplice conseguenza:
1. carenza delle capacità amministrative, a livello centrale come a livello locale
2. fragilità del presidio di coordinamento a fronte di funzioni di sostegno e accompagnamento rivelatesi, invece, sempre più necessarie.
A partire da queste premesse, con il D.L. n. 101/2013 fu istituita l’Agenzia per la Coesione Territoriale, che ha acquisito parte delle funzioni del soppresso “Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica” incardinato presso il Ministero dello Sviluppo Economico.
Successivamente, con il D.L. n. 86/2018, è stato anche previsto il riordino delle competenze in materia di politiche per la coesione territoriale tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri e l’Agenzia, definendo più chiaramente per quest’ultima i compiti operativi di sorveglianza sulla conduzione e attuazione dei Programmi di assistenza alle amministrazioni centrali e regionali titolari, la definizione di standard, linee guida e istruzioni operative, e la possibilità di proporre misure di accelerazione sulla base degli esiti dell’attività di monitoraggio, valutazione e verifica.
L’esperienza della programmazione 2014-20, così come le analisi realizzate dalla Commissione europea nell’ambito del Semestre europeo (e.g. Country Report 2019, 2020), individuano nella debolezza della capacità amministrativa una delle principali sfide per il Paese in particolare per quanto riguarda gli investimenti, l’attuazione delle norme in materia di appalti pubblici e l’assorbimento dei Fondi UE.
Sfida tanto più ardua quanto più ampia e diversificata è divenuta l’offerta di risorse per le politiche di sviluppo per i prossimi anni, comprese quelle della coesione 2014-20, del REACT-EU e del ciclo 2021-27, le dotazioni PNRR e, non ultime, quelle della coesione nazionale (PSC).
Il miglioramento dell’efficacia attuativa delle politiche di coesione è al centro del disegno strategico del programma nazionale “Capacità per la coesione” 2021-27 che prevede la messa in campo di un’azione sistemica sul complesso degli attori delle politiche di coesione, con il ricorso a più strumenti e leve per il cambiamento:
o un consistente intervento sul rafforzamento della capacità amministrativa delle Regioni e dei Comuni
o una significativa azione di potenziamento delle strutture responsabili della governance centrale, volta a internalizzare le funzioni necessarie e a creare un centro di competenza che possa rappresentare il presidio tecnico specialistico per ogni livello di governo.
o l’istituzione di un meccanismo stabile di formazione tecnico-specialistica sulla politica di coesione.
La gestione delle crisi da parte delle regioni e delle città, la visibilità della politica di coesione andrebbe rafforzata, dal momento che il 33 % degli enti locali e regionali non è a conoscenza delle opportunità di finanziamento disponibili e non ne beneficia.
LE ISTANZE TERRITORIALI
Il contributo delle zone rurali al conseguimento degli obiettivi ambiziosi e cruciali dell’UE è a rischio per due motivi principali:
o i cambiamenti climatici
o lo spopolamento di un numero equivalente alle popolazioni di Romania, Bulgaria e Lituania. Inoltre, tra il 2015 e il 2021 la percentuale di persone di età superiore a 65 anni è aumentata del 5 % nelle zone rurali, il doppio rispetto alle zone urbane.
Lo spopolamento e l’invecchiamento della popolazione rurale determinano un circolo vizioso caratterizzato da minori investimenti nei servizi pubblici (ad esempio, assistenza all’infanzia, sanità e assistenza a lungo termine, istruzione, trasporti pubblici) e stagnazione economica o declino. Tale situazione preoccupante rappresenta una minaccia per la democrazia europea, in quanto è facile che le persone che rimangono nelle zone rurali si sentano lasciate indietro dalle istituzioni locali, nazionali ed europee.
Il piano NextGenerationEU rimane “sordo alle istanze territoriali”: oltre il 70 % dei leader locali non è stato coinvolto nella sua attuazione.
Nonostante il notevole impegno spesso richiesto da parte delle pubbliche amministrazioni per garantire che i fondi dell’UE siano utilizzati in modo efficace e dove sono più necessari, il ruolo delle regioni e delle città non è stato adeguatamente riconosciuto nella progettazione del dispositivo per la ripresa e la resilienza, la pietra angolare del piano per la ripresa NextGenerationEU.
Dai dati raccolti dal CdR nel 2021 e 2022, confermati dal nuovo Barometro locale e regionale emerge che oltre il 70% degli intervistati ha affermato di non essere stato coinvolto nell’attuazione del dispositivo per la ripresa e la resilienza. Lo strumento sembra pertanto essere “sordo alle istanze territoriali”.
Consentire agli enti locali e regionali di individuare i settori più appropriati nei quali far confluire il sostegno finanziario rappresenta il modo più efficace per garantire che i fondi siano utilizzati al meglio. Permettere agli Stati membri di decidere se coinvolgere o meno gli enti subnazionali nell’elaborazione dei programmi ne compromette il potenziale successo. L’attuazione del dispositivo per la ripresa e la resilienza ha influito direttamente anche sull’inizio dell’attuale periodo di programmazione della politica di coesione 2021-27, causando notevoli ritardi.
Gli Stati membri e la Commissione europea devono adottare le misure necessarie per trasformare l’attuale approccio centralizzato in un metodo di attuazione multilivello del dispositivo per la ripresa e la resilienza, organizzando piattaforme multilivello, sessioni informative ed eventi su base strutturale e in collaborazione con le città e le regioni.
(Fonti: documentazione-stralcio da Internet Agenzia per la Coesione Territoriale, SNAI)
VOCABOLARIO INACCETTABILE
Il nuovo Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne 2021-2027 (PSNAI), del marzo 2025, indica tra l’altro che “nessun Comune ha di fronte un destino ineluttabile in relazione alle coordinate geografiche in cui si trova, ma sono molti i Comuni che rischiano un percorso di marginalizzazione irreversibile per le dinamiche demografiche che li caratterizzano.
Alla luce di quanto descritto è possibile distinguere quattro tipologie di obiettivi, nella prospettiva di rafforzare le condizioni delle Aree Interne, in funzione delle condizioni di partenza delle realtà locali:
Obiettivo 1: Inversione di tendenza relativamente alla popolazione. Come rappresentato dall’analisi statistica, non esistono margini per realizzare tale obiettivo a livello nazionale. La popolazione può crescere solo in alcune grandi città e in località particolarmente attrattive.
Obiettivo 2: Inversione di tendenza relativamente alle nascite. Nello scenario nazionale più favorevole tra quelli contemplati dalle previsioni Istat la popolazione non cresce ma le nascite tornano a salire. In tale scenario la popolazione anziana aumenta comunque più della popolazione giovanile e i decessi rimangono maggiori rispetto alle nascite, ma la base demografica non va a indebolirsi ulteriormente. Tale risultato richiede però una combinazione tra attrattività verso le nuove generazioni (che rafforzano la componente in età riproduttiva e condizioni favorevoli alle scelte di genitorialità. Una parte del Paese potrebbe riuscire ad avvicinarsi a tale scenario, ma verosimilmente non gran parte del Mezzogiorno e la maggioranza delle Aree interne (come evidenziano i dati stessi delle previsioni ISTAT disaggregati per regione).
Obiettivo 3: Contenimento della riduzione delle nascite (da diminuzione accentuata a moderata). Questa è la tipologia che potrebbe riguardare il gruppo più ampio di Comuni delle Aree interne. Corrisponde ad un percorso che evita di rassegnarsi allo scenario peggiore e cerca di rimanere vicino allo scenario mediano delle previsioni ISTAT. Data la struttura per età della popolazione di molte Aree interne (caratterizzata da forte indebolimento della componente giovane-adulta), il rallentamento della diminuzione delle nascite richiede comunque un aumento del numero medio di figli per donna (nello scenario mediano italiano passa dagli attuali 1,2 a quasi 1,4 nel 2050) e una progressiva riduzione del saldo migratorio negativo. Questo obiettivo non mette in sicurezza la struttura demografica, ma evita che peggiori in modo tale da compromettere del tutto la sostenibilità nel breve-medio periodo. Questo consente di tenere aperta la possibilità di miglioramenti futuri.
Obiettivo 4: Accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile. Un numero non trascurabile di Aree interne si trova già con una struttura demografica compromessa (popolazione di piccole dimensioni, in forte declino, con accentuato squilibrio nel rapporto tra vecchie e nuove generazioni) oltre che con basse prospettive di sviluppo economico e deboli condizioni di attrattività.
Queste Aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma non possono nemmeno essere abbandonate a sé stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le possa assistere in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi abita. Ogni Comune deve poter valutare in quale di queste quattro tipologie si colloca, in base ai dati disponibili sulla situazione demografica e sulle condizioni sociali ed economiche, e potersi dotare di competenze e di strumenti più adatti al proprio caso per ottenere gli obiettivi specifici.
Le specificità locali sono fattori-chiave su cui puntare per favorire uno sviluppo endogeno con effetti duraturi nel tempo in grado di limitare lo spopolamento e rendere questi territori attraenti per i giovani”.
SFIDA IMPROROGABILE
Obiettivo primario per Stato, Regioni ed Enti locali, per una reale inversione di tale andamento, ora, richiede un esame oggettivo dell’esperienza fatta in questi anni, degli effetti positivi conseguiti indicando le realtà territoriali che hanno visto i progetti eseguiti e dei motivi di criticità attuali che hanno impedito la partecipazione, la presentazione e la esecuzione di progetti.
Bisogna superare le criticità emerse, come quella della tempistica dall’entrata in vigore di una legge, come quella della partecipazione e dell’ammissione ai bandi per la complessità a singole persone e a realtà istituzionali di piccole dimensioni, (la maggior parte dei comuni delle aree interne ha meno di 5000 abitanti), e, per questo, nella maggior parte dei casi, sono carenti di organi competenti ad istruire e a definire utilmente gli atti richiesti dai bandi nei tempi stabiliti.
Bisogna costruire un intenso cammino che sia tale da arginare il rischio comune dei suddetti quattro obiettivi dello spopolamento e del calo demografico, impiegando tutte le risorse disponibili in campo europee, statali, regionali e delle PP.AA. in generale, private, dei cittadini e delle imprese, del terzo settore o dell’associazionismo – per tamponare questa lenta e costante emorragia e, poi, per cercare anche di invertire la rotta.
Al riguardo, per avere sostegno ai fini di azioni e interventi operativi, si ritiene che possa essere utile anche l’adozione di un “documento legislativo unitario” con la ricerca, il riesame ed il coordinamento delle varie norme di leggi vigenti in materia, in parte richiamate di seguito, provvedendo alla semplificazione delle relative procedure amministrativa e alla fissazione di un lungo periodo di vigenza con adeguati finanziamenti e o rifinanziamenti, aprendo i bandi a più sessioni per la presentazione di progetti.
Il fenomeno dello spopolamento e del calo demografico, previsto dall’Istat, non è solo delle aree interne, interessa tutto il territorio nazionale motivo per cui va affrontato con decisione, diversamente si consente l’erosione di uno degli elementi costitutivi dello stesso Stato, il popolo.
Il proposto documento va partecipato, ad avvenuta adozione e pubblicazione, con apposite e chiare direttive, con idonei mezzi alle Regioni, ai Comuni, all’unione di Comuni, all’Anci, all’Upi, all’Uncem, ai GAL, alle Associazioni imprenditoriali di categorie e professionali, alle Associazioni giovanili e a quegli incubatori di partecipazione costituitisi in questi anni sul tema specifico, in modo che, avvenuta la migliore conoscenza, coinvolga tutti alla sua piena e corretta applicazione.
In tale direzione va avviato, comunque, anche un programma di utilizzo capillare dell’Aire, istituita con legge 27 ottobre 1988, n. 470 in ogni Comune, e delle Ambasciate italiane all’estero, per promuovere la diffusione della conoscenza delle azioni possibili nelle “aree interne” a tutti gli iscritti.
Le risorse PNRR trasferite all’Italia hanno raggiunto i €140,3 miliardi sui 194,4 (il 72% del totale), la spesa avanza con difficoltà: solo il 34% delle risorse è stato utilizzato, con forti disomogeneità tra le missioni. Completare gli investimenti del PNRR è fondamentale per sostenere la crescita del Paese e destinare consistente fetta di risorse aggiuntive – invece che alle spese militari – all’obiettivo di affrontare questi fenomeni che affliggono il nostro Paese, senza tralasciare seri percorsi di inclusione e piena cittadinanza per l’unica risorsa in grado di calmierare le tendenze in corso e cioè i flussi di immigrazione. Tale situazione richiede uno sforzo significativo da parte di tutti i soggetti coinvolti.
In sintesi, superando e l’elevata complessità del PNRR e le difficoltà attuative, cercare di andare nella direzione della massima efficacia possibile nell’ottenere l’erogazione dei fondi assegnati e nella realizzazione degli interventi finanziati, non rinunciando assolutamente a ridurre i divari territoriali, di genere e generazionali.
In questa linea, occorre ripartire dal basso, dai Comuni e dalle città, e assumere mirate linee di sviluppo qualitativo delle aree interne rurali, collinari e montane, puntando alla effettiva realizzazione di servizi utili e necessari: a) per agevolare la permanenza delle persone residenti, b) per favorire il ritorno delle persone emigrate e per attrarre nuovi residenti c) per incentivare il recupero dei borghi (*).
Le azioni:
riorganizzazione dei servizi pubblici infermieristici ambulatoriali, domiciliari di comunità, riabilitativi ambulatoriali e domiciliari, di ogni attività di ricovero in RSA, di attività di accoglienza e di informazione, di servizi per anziani, per disabilità e per minori; di presidi di assistenza farmaceutica nei borghi (D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della L. 23 ottobre 1992, n.421; art. 1 della L. n.221/1968, così come modificato dalla L. n.362/1991);
adeguamento dei plessi scolastici alle norme di sicurezza (D.P.C.M. 27 ottobre 2023, n.208 Regolamento concernente l’organizzazione del Ministero dell’istruzione e del merito; L.30 Dicembre 2024, n.207 Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2025 e bilancio pluriennale per il triennio 2025-2027);
attivazione di servizi di telefonia mobile e di connessioni digitali; e ammodernamento della rete internet ad alta velocità (D. L.gs 24 marzo 2024, n.48 codice delle comunicazioni elettroniche; D.L.gs 15 febbraio 2016, n. 33);
potenziamento del trasporto pubblico locale (D. Lgs. 19 novembre 1997, n.422, Leggi regionali di settore, Regolamento (CE) n. 1370/2007 relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia, Art. 1, comma 300, L. 24 dicembre 2007, n.244; D.L.gs 20 settembre 1999, n.400 Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 19 novembre 1997, n.422, recante conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale; DPR 17 giugno 2022 n.121);
revisione delle linee di trasporto pubblico tra centri urbani e aree rurali, collinari e montane (D.Lgs. 19 novembre 1997, n.422, Leggi regionali di settore, Regolamento (CE) n. 1370/2007 relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia, Art. 1, comma 300, L. 24 dicembre 2007, n.244; D.L.gs 20 settembre 1999, n.400 Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 19 novembre 1997, n.422, recante conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale; DPR 17 giugno 2022 n.121);
salvaguardia e valorizzazione dei comuni montani, dell’ambiente, delle risorse naturali, del paesaggio, delle tradizioni territoriali, storiche e culturali, rilancio dei beni culturali (D.L.gs 3 aprile 2006, n.152 Norme in materia ambientale; L. 6 dicembre 1991 n.394 Legge quadro sulle aree protette; D.L.gs. 22 gennaio 2004, n. 42 Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137. L. 7 ottobre 2013, n. 112 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, recante disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attività culturali e del turismo; e art 9 della Costituzione Italiana ex Legge Costituzionale 11 febbraio 2022, n.1);
utilizzo dei bacini idrici per l’agricoltura, la prevenzione degli incendi, l’innevamento artificiale, allo scopo di affrontare gli effetti del cambiamento climatico e le sfide legate alla disponibilità di acqua (DL.gs. 3 aprile 2018 n.34 Testo unico in materia di foreste e filiere forestali, emanato per regolamentare la gestione del patrimonio forestale italiano; L.21 novembre 2000 n.353 Legge-quadro in materia di incendi boschivi. attribuisce alle Regioni il compito di prevedere, prevenire e combattere attivamente gli incendi boschivi e riconosce allo Stato l’obbligo di aiutare a debellarli attraverso l’impiego dei mezzi aerei anti-incendio in sua dotazione);
recupero dei borghi; di ristrutturazione di edifici abbandonati; di positiva disciplina dei principi per la ricomposizione fondiaria (L.6 ottobre 2017, n.158 Misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici dei medesimi comuni);
aggiornamento degli indirizzi di programmazione nazionale in materia di sviluppo dell’artigianato e della valorizzazione delle produzioni artigiane nelle loro diverse espressioni territoriali, artistiche e tradizionali, con particolare riferimento alle agevolazioni di accesso al credito, all’assistenza tecnica, alla ricerca applicata, alla formazione professionale, all’associazionismo economico, alla realizzazione di insediamenti artigiani, alle agevolazioni per l’esportazione (L. 8 agosto 1985, n.443 Legge-quadro per l’artigianato in Gazz. Uff., 24 agosto 1985, n.199; LLRR: Lazio L.R. 10 luglio 2007 n.10; Toscana L.R. Burt 29 ottobre 2008 n.34 Bando “Più Artigianato”, intesa in Regione per aumentare al 35%…”; Abruzzo L.R. 30 ottobre 2009 – nuova legge organica; Emilia Romagna L.R. 9 febbraio 2010, n.1; Campania L.R. 7 agosto 2014 n.15; Friuli Venezia Giulia L.R. 22 febbraio 2021, n.3; Marche L. R. 2 agosto 2021n.19).
Suggerimenti interventi operativi:
o offrire incentivi agli operatori delle professioni sanitarie con contributo per la partecipazione ai concorsi presso il Servizio Sanitario Nazionale e garantire crediti d’imposta per l’acquisto di abitazioni a fini di servizio a seguito assunzione presso le aziende ( D.P.R. 16 giugno 2023, n.82 Regolamento recante modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n.487, concernente norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi);
o incentivare i docenti con un credito d’imposta per le spese di locazione di immobili e con l’assegnazione di un punteggio supplementare per le graduatorie provinciali di supplenza (D.P.R. 16 giugno 2023, n.82 Regolamento recante modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n.487, concernente norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi);
o incentivare con contributi a fondo perduto emigrati e o lavoratori italiani, che decidono di rientrare in Italia, che hanno trascorso periodi di formazione e lavoro all’estero; incentivare l’ingresso di lavoratori stranieri che decidono di risiedere in predette aree per almeno …..anni (D.L.gs. 25 Luglio 1998, n.286 Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero; D.P.R. 14 Settembre 2011, n. 179 Regolamento concernente la disciplina dell’accordo di integrazione tra lo straniero e lo Stato, a norma dell’articolo 4-bis, comma 2, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286; L. 30 Dicembre 2020, n.178 Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023; L. 9 agosto 2023, n.111 Delega al Governo per la riforma fiscale. (GU n.189 del 14-08-2023) Articolo: 9 Vers: 1 [rientro in Italia di persone ivi formate occupate, congruo numero di lavoratori dipendenti dello, comma 1, lettera a), gli incentivi fiscali, con il mercato interno in applicazione degli, permanenza in Italia di studenti ivi formati, anche]; L. 13 novembre 2023 n.162 Disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione, per il rilancio dell’economia nelle aree del Mezzogiorno del Paese, nonché in materia di immigrazione);
o incentivare, con contributi, giovani che rientrano in dette aree, che intraprendono imprese innovative nei settori agricolo, artigianale e turistico e o che scelgono di lavorare in smart working (L.30 dicembre 2024, n. 207 Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2025 e bilancio pluriennale per il triennio 2025-2027; Disegni Leggi delle regioni – anno 2013 – Umbria, Campania, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Puglia, Toscana, Lazio, Veneto per sostegno della permanenza e del rientro dei giovani talenti; Comuni che hanno incentivato il ripopolamento dei borghi: Caccuri, Santa Severina (Calabria));
o incentivare, con bonus fiscali, giovani agricoltori per l’acquisto di terreni e di attrezzature (Regioni che hanno previsto un contributo finanziario per il trasferimento con apertura di attività in villaggi remoti e poco abitati: Molise, Calabria, Sardegna, Emilia Romagna, Veneto e Piemonte);
o incentivare chi è disposto a trasferirsi e aprire o rilevare un’attività economica locale e chi decide l’acquisto o la ristrutturazione di immobili (Regioni che hanno promosso con contributi finanziari il trasferimento della residenza nel loro territorio: Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia; Comuni pronti a pagare a chi voglia traferirsi lì: Aieta, Albidona, Civita, San Donato di Ninea. Sant’Agata del Bianco (Calabria), Candela, Roseto Valfortore (Puglia) e Bormida (Liguria));
o incentivare nuovi imprenditori e piccole e medie imprese che si insediano nelle aree interne (L.4 agosto 1978, n.440 Norme per l’utilizzazione delle terre incolte, abbandonate o insufficientemente coltivate; L. 30 giugno 1998 n.208 Interventi nelle aree depresse. Istituzione di un Fondo rotativo per il finanziamento dei programmi di promozione imprenditoriale nelle aree depresse Art.1);
o incentivare famiglie e o aziende agricole che adottano tecniche biologiche, permacultura e agricoltura rigenerativa e o che con impianti di fotovoltaico e biomasse contribuiscono a ridurre il consumo di energia fossile (D. P. R. 22 Febbraio 1982, n.182 Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Valle d’Aosta per la estensione alla regione delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 e della normativa relativa agli enti soppressi con l’art. 1-bis del decreto-legge 18 agosto 1978, n. 481, convertito nella legge 21 ottobre 1978, n. 641.(GU n. 114 del 27-04-1982) Articolo: 38; D. Lgs. 3 Aprile 2006, n.152 Norme in materia ambientale (GU n. 88 del 14-04-2006 – Suppl. Ordinario n.96); D. Lgs. 3 Marzo 2011, n.28 Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE (GU n. 71 del 28-03-2011 – Suppl. Ordinario n. 81); L. 28 Febbraio 2020, n.8 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2019, n.162, recante disposizioni urgenti in materia di proroga di termini legislativi, di organizzazione delle pubbliche amministrazioni, nonché di innovazione tecnologica.(GU n.51 del 29-02-2020 – Suppl. Ordinario n.10) Allegato: Allegato (Parte 1) Vers: 1; L. 30 Dicembre 2020, n.178 Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023. (GU n. 322 del 30-12-2020 – Suppl. Ordinario n.46); L. 22 Aprile 2021, n.53 Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – Legge di delegazione europea 2019-2020. (GU n. 97 del 23-04-2021); D.L.gs. 8 Novembre 2021, n.199 Attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili. (GU n. 285 del 30-11-2021 – Suppl. Ordinario n.42); L. 9 Marzo 2022, n.23 Disposizioni per la tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e dell’acquacoltura con metodo biologico.(GU n. 69 del 23-03-2022); L. 29 Giugno 2022, n.79 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 aprile 2022, n. 36, recante ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR); L. 29 Dicembre 2022, n.197 Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025.)](GU n.303 del 29-12-2022 – Suppl. Ordinario n.43); L.21 Giugno 2023, n.74 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 aprile 2023, n.44, recante disposizioni urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle amministrazioni pubbliche. (GU n. 143 del 21-06-2023 – Suppl. Ordinario n. 23) Allegato: Allegato Vers: 1));
o sostenere la creazione di cooperative di comunità che decidono di gestire terre incolte o abbandonate (Legge stralcio 21 ottobre 1950, n.841 Norme per la espropriazione, bonifica, trasformazione ed assegnazione dei terreni ai contadini; D.P.R. 24 Luglio 1977, n.616 Attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n.382.(GU n.234 del 29-08-1977 – S. O.) Articolo: 66 Vers: 1 coltivazione di terre incolte abbandonate o, coltivazioni della terra e le attività zootecniche e l’, regionale; le destinazioni agrarie delle terre di uso, di incentivazione e sostegno della cooperazione e, degli animali e delle zoonosi, la gestione dei ).
(Fonti: i richiamati provvedimenti sono stati rilevati nella banca dati di “Normattiva” sito internet: https://www.normattiva.it/ricerca/veloce/5…)
(*) Nota: La Legge n.158 del 6 ottobre 2017, detta legge “salva borghi”, citata negli “Appunti per una strategia (non solo finanziaria) di Gina Della Fazia, Nicola Grazioso, Domenico Leva – Luiss School of Government -Associazione Alunni Luiss della School of Government (ALSOG) – Policy Brief n. 11/2023” è l’esempio di legge statale, con tempi e procedure complesse.
Questa legge inizia il suo iter parlamentare il 15 marzo 2013 e viene approvata all’unanimità, dopo quattro anni e mezzo, pubblicata nella G.U. n.256 del 2.11.2017
. Inizia quindi l’iter attuativo con l’emanazione delle relative disposizioni: individuazione dei Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, DPCM 23 luglio 2021, quattro anni per individuare i possibili beneficiari; definizione dei punteggi per stabilire la natura prioritaria o non prioritaria dei progetti, DPCM 16 maggio 2022, e passato un altro anno circa; ancora un altro anno per emanazione del bando, pubblicato in G.U. il 14 luglio 2023, che prevede una scadenza a 25 giorni, 25 giorni per inviare la PEC su cui ricevere il Link per presentare la domanda nella relativa procedura informatica, in periodo di ferie per i pochi dipendenti dei Comuni con meno di 5.000 abitanti: scadenza del bando fissata al 9 agosto. Poi la possibilità di presentazione delle domande dall’11 settembre al 3 ottobre, neanche 20 giorni per presentare progetti ipoteticamente complessi e per richiedere fino a 700.000 euro.
Cosa succede allora? Si ricorre ad una “proroga” per i Comuni che non hanno comunicato la PEC, proroga al 24 ottobre con la scadenza per la presentazione delle domande spostata al 25 ottobre per tutti i Comuni interessati. A tanto bisogna aggiungere il tempo necessario per stilare le graduatorie, assegnare i fondi ai Comuni e, poi, procedere alle aggiudicazioni, esecuzioni e collaudo lavori con molti altri adempimenti amministrativi connessi al pagamento degli stessi lavori.
Ci si domanda, dopo 10 anni dall’inizio del suo iter, quanti Comuni, con popolazione inferiori ai 5000 abitanti, hanno potuto vedere gli effetti di questa legge.
DOMANDE ED ESPERIENZE A CONFRONTO
È facile avere conoscenza della legislazione europea e nazionale?
Quali difficoltà nell’applicazione delle leggi e delle relative procedure amministrative?
Quali tempi per le ammissioni alle azioni? quali tempi per l’affidamento e l’esecuzione degli interventi? quali motivi di ritardo e o di non ammissione dei progetti?
Quali risultati sul territorio dalla spesa? quali obiettivi ed effetti conseguiti?
È seguita ed attuata normale e ordinaria gestione del territorio dopo la realizzazione degli interventi? o difficoltà? Quali?
È necessario che il territorio regionale/provinciale/comunale sia dotato di esperti?
La spesa effettuata ha dato segnali rispetto alle finalità della stessa? Percentuale?
Suggerimenti per superare percorsi difficili ed invertire lo spopolamento ed il calo demografico.
LO SCENARIO, L’IMPEGNO
L’intento di questo contributo da parte del Forum è dunque mantenere vivo il confronto su una materia delicatissima alla quale si guarda con alterna attenzione e con troppe distrazioni da parte della politica e della società tutta.
Pensiamo che occorra sensibilizzare i vari settori sociali, imprenditoriali e intellettuali, a vivere organicamente il percorso verso le possibili soluzioni integrandosi tra loro perché la questione delle Aree Interne (spopolamento e calo demografico) possa ottenere risposte e non assurdi abbandoni strumentali, che sfiorano la cattiveria sociale.
Sollecitiamo per questo una convergenza concreta e condivisa delle competenze sul campo e tra territori e i livelli parlamentari e governativi. Ognuno faccia la propria parte, senza inutili protagonismi e sterili “colpi di tacco”. Serve una gestione di sintesi e di pieno coinvolgimento di tutti gli attori perché si sappia lavorare al risultato prima che allo sviluppo esclusivo delle proprie idee e dei propri singoli progetti.
Benevento, 26 agosto 2025
ALLEGATO
Sintesi (20.12.2019) da parte di Rassegna Valutativa: Sconfinati. Prospettive di rilancio dei territori per contrastare lo spopolamento, tratta da Internet
“Dalle recenti ricerche effettuate, l’Italia è ad oggi uno dei paesi Ue più avanti nella realizzazione del proprio Pnrr. Molti stati infatti stanno incontrando degli ostacoli nell’attuazione. Proprio per questo motivo, lo scorso 18 giugno il parlamento europeo ha approvato una risoluzione in cui si esorta la Commissione a valutare la possibilità di estendere per ulteriori 18 mesi il recovery and resilience facility (Rrf). Ovvero lo strumento finanziario che alimenta i piani nazionali di ripresa e resilienza.
Finora l’ipotesi di sforare la scadenza del 2026 è stata considerata un tabù. E in effetti la Commissione europea in una comunicazione di inizio giugno, pur evidenziando i ritardi, aveva ribadito come questo limite temporale fosse inderogabile.
Per attuare pienamente il dispositivo per la ripresa e la resilienza e coglierne i benefici, è necessaria un’accelerazione significativa dell’attuazione da parte degli Stati membri. L’attuale ritmo di attuazione non è sufficiente a garantire il conseguimento di tutti i traguardi e di tutti gli obiettivi entro agosto 2026 e l’erogazione dell’intera dotazione del dispositivo per la ripresa e la resilienza entro la fine del dispositivo nel 2026.
In sintesi, si cerca di andare nella direzione della massima efficacia possibile nell’erogazione dei fondi assegnati e nella realizzazione degli interventi finanziati. Potenzialmente anche a costo di dover rinunciare almeno in parte alle ambizioni iniziali. Nel caso del Pnrr italiano, ad esempio, le famose 3 priorità trasversali che avrebbero dovuto portare a una riduzione dei divari territoriali, di genere e generazionali.
La Commissione ha suggerito agli stati membri di contribuire al programma europeo di difesa con i fondi Pnrr inutilizzati attraverso diverse soluzioni: la rinuncia a una parte dei fondi presi in prestito; il definanziamento delle misure più indietro; il dirottamento di una parte dei fondi inutilizzati verso altre forme di investimento comunitarie. Quest’ultima opzione risulta particolarmente rilevante potendo contribuire al futuro programma europeo per l’industria della difesa (n.d.r. suggerimento che non si condivide dovendosi invece mantenere la destinazione dei fondi).
Alla luce di queste indicazioni e del delicatissimo contesto internazionale in cui ci troviamo, l’attenzione sul Pnrr e, più in generale, su tutte le politiche pubbliche di investimento, sia europee che nazionali, deve rimanere molto alta.
L’attuazione dei Pnrr sta scontando difficoltà in tutta l’Ue, non solo in Italia. Da questo punto di vista alcune informazioni sono fornite dalla già citata comunicazione della Commissione. Altre sono reperibili sull’apposito portale
Come noto, l’impostazione del Rrf prevede un modello cosiddetto performance based. Ciò significa che l’erogazione dei fondi assegnati ai diversi stati è condizionata al raggiungimento di determinati traguardi e obiettivi (le cosiddette scadenze). Da questo punto di vista possiamo osservare che, sulla base dei dati contenuti nel documento della Commissione, al 4 giugno restavano ancora da erogare circa 335 miliardi di euro (di cui circa 154 in sovvenzioni e 180 in prestiti). Considerando che l’ammontare complessivo del Rrf è di circa 650 miliardi, ne consegue che a poco più di un anno dalla conclusione dei piani nazionali oltre la metà delle risorse deve ancora essere erogata.
Anche dal punto di vista delle scadenze da conseguire la situazione è piuttosto complessa in quasi tutti gli stati europei. In base ai dati della Commissione, allo stato attuale i vari paesi devono ancora presentare la documentazione relativa al completamento di oltre 4.300 traguardi e obiettivi sui 7.105 totali. Ciò significa che nel complesso le scadenze ancora da conseguire sono circa il 68%. Andando a vedere più nel dettaglio, la quota di scadenze già completate più elevata è quella riportata dalla Francia (82%). Seguono Danimarca (57%), Germania (54%) ed Estonia (49%). Italia e Lussemburgo si trovano entrambe al 43%.
L’Italia non ha il primato per quanto riguarda il rapporto tra scadenze già completate e il totale di quelle previste.
Questo dato non tiene conto delle situazioni riguardanti la settima e l’ottava rata. Dando per acquisiti i traguardi e gli obiettivi relativi al secondo semestre del 2024 (il governo italiano ha dato l’annuncio ma l’ok definitivo ancora non risulta dalle pagine web ufficiali della Commissione al momento della pubblicazione di questo articolo), l’Italia salirebbe al 54% di scadenze già completate. Un risultato certamente importante se paragonato a quello di molti altri stati membri ma che comunque non le vale il primato. Nemmeno considerando, cosa da non dare assolutamente per scontata, che la Commissione valuti positivamente quanto fatto per le scadenze del primo semestre del 2025.
Il quadro sin qui delineato comporta che, a meno di improbabili proroghe, tutte le richieste di pagamento e le prove necessarie per la loro valutazione, dovranno essere presentate entro il 30 settembre 2026. Per lasciare tempo sufficiente all’attuazione e alla valutazione delle richieste, la Commissione ha esortato quindi gli stati membri ad adottare eventuali revisioni dei piani quanto prima. In ogni caso, entro la fine del 2025.
Gli Stati membri dovrebbero riesaminare integralmente i rispettivi PRR quanto prima per garantire che tutti i traguardi e gli obiettivi possano essere attuati entro il termine del 31 agosto 2026. Dovrebbero essere mantenute nei piani soltanto le misure di cui è certa la piena attuazione entro tale termine. Le misure per cui ciò non può essere garantito dovrebbero essere eliminate per evitare il disimpegno di ingenti importi di fondi del dispositivo per la ripresa e la resilienza.
Attualmente l’Italia è tra gli stati membri che hanno già inviato il maggior numero di proposte di revisione (5) insieme a Belgio, Irlanda e Spagna. Per quanto riguarda l’Italia inoltre una sesta revisione del piano italiano è stata annunciata dal ministro Foti.
Al 23 giugno 2025 (mancano le rate 7 e
in Italia le scadenze completate sono il 43%, quelle da completare il 57%. Scadenze non completate: 0%; scadenze sospese: 0%

Nonostante le risorse PNRR trasferite all’Italia abbiano ormai raggiunto i € 140 miliardi (il 72% del totale), la spesa avanza con difficoltà: solo il 34% delle risorse è stato utilizzato, con forti disomogeneità tra le missioni. Tale situazione richiede uno sforzo significativo da parte di tutti i soggetti coinvolti. È plausibile che i provvedimenti adottati dal Governo nel dicembre scorso per velocizzare il trasferimento delle risorse ai soggetti attuatori abbiano favorito un’accelerazione della spesa, ma tali risultati non sono ancora pienamente rilevabili nei dati disponibili.
Quanto all’avanzamento dei progetti, aumentano quelli in fase di esecuzione e diminuiscono i progetti in aggiudicazione, con forti differenze tra le missioni. Particolarmente critica la Missione 2 – transizione ecologica – dove l’85% dei progetti è ancora in progettazione. I ritardi non dipendono solo da difficoltà attuative, ma riflettono anche l’elevata complessità del PNRR.
I vari ultimi documenti del Governo analizzano gli interventi necessari per contrastare lo spopolamento e l’impoverimento delle risorse e del capitale umano nel Mezzogiorno d’Italia.
Contrastare lo Svuotamento dei Territori
• L’analisi si concentra sugli interventi attuati per contrastare lo spopolamento e l’impoverimento delle risorse umane nel Mezzogiorno.
• Dal 1976 al 2016, 5 milioni di persone sono migrate verso il Centro-Nord, con solo 3 milioni di rientri.
• Negli ultimi 16 anni, 1.183.000 residenti hanno lasciato il Mezzogiorno, di cui la metà giovani tra i 15 e i 34 anni.
• Nel 2017, il saldo migratorio interno del Mezzogiorno è stato di -59.600.
• Solo il 27% di chi si trasferisce è laureato, evidenziando che non sono solo i laureati a emigrare (nel 2017, il 25,8% dei giovani del Mezzogiorno era iscritto a università del Centro-Nord).
• Il tasso di abbandono degli studi è del 19,4% nel Mezzogiorno, superiore alla media nazionale.
• Il 17,2% dei dottori di ricerca italiani vive e lavora all’estero a sei anni dal conseguimento del titolo.
Difficoltà nell’Attrarre Talenti
• L’Italia presenta difficoltà significative nell’attrarre talenti altamente qualificati.
• Nel 2011, il saldo migratorio tra immigrati e emigrati high-skilled in Italia era negativo.
• L’Italia si colloca nel quartile inferiore per l’ambiente delle competenze secondo l’OECD.
• L’indice MIPEX mostra che l’Italia ha politiche di integrazione insufficienti per attrarre immigrati laureati.
Le politiche di Integrazione e Attrazione
• Le politiche di integrazione e attrazione sono fondamentali per contrastare lo spopolamento.
• È necessario sviluppare politiche di attrazione per i professionisti altamente qualificati.
• Le politiche di integrazione influenzano positivamente la percentuale di immigrati laureati.
• Efficacia degli Interventi di Formazione
• Gli interventi di formazione professionale hanno avuto effetti positivi sull’occupazione.
• I corsi di formazione in Piemonte hanno portato a un tasso di occupazione del 57,2% a 12 mesi.
• Il microcredito in Sardegna ha creato opportunità lavorative per disoccupati, con il 70% dei beneficiari diventati imprenditori.
• Iniziative Locali e Partecipazione Comunitaria
• Le iniziative locali e la partecipazione comunitaria sono essenziali per il rilancio dei territori.
• Il processo partecipato dell’ITI della Montagna Materana ha coinvolto attivamente i Sindaci e le comunità locali.
• Gli interventi in Emilia-Romagna hanno creato beni e servizi locali, contrastando lo spopolamento.
• Strumenti che Rafforzano gli Squilibri
• Alcuni strumenti hanno inavvertitamente rafforzato gli squilibri territoriali.
• I finanziamenti per Master e Dottorati hanno aiutato gli studenti a trovare lavoro, ma spesso al di fuori della regione di origine.
• Le misure del POR FSE in Basilicata hanno coinvolto 1.108 beneficiari, ma non hanno risolto il problema dello spopolamento.
• Valutazione dei Master e Dottorati
• La valutazione dei programmi di master e dottorato ha evidenziato risultati positivi in termini di occupazione, ma ha anche rivelato un fenomeno di brain drain.
• Il 70,22% dei partecipanti ai master universitari ha trovato lavoro a distanza di 12 mesi.
• Il 60,29% dei partecipanti ai master non universitari ha trovato occupazione nello stesso periodo.
• Il tasso di disoccupazione è diminuito di oltre il 12,5% rispetto a sei mesi dopo il master.
• Il 44,7% degli occupati con master universitari ritiene che il lavoro sia correlato al master.
• Il 49,4% dei partecipanti ha trovato lavoro all’estero o in altre regioni italiane, nonostante il 90,4% abbia mantenuto la residenza in Basilicata.
Condizione Occupazionale
• A sei mesi e un anno dalla conclusione dei programmi, la condizione occupazionale dei beneficiari è migliorata.
• A sei mesi, il 63,6% dei partecipanti era occupato, il 27,5% disoccupato e il 3,5% inattivo.
• A un anno, gli occupati sono aumentati al 68,9%, mentre i disoccupati sono scesi al 28%.
• I beneficiari del solo tirocinio hanno mostrato i migliori risultati occupazionali.
Contratti di Lavoro e Tipologie
• Le forme contrattuali per i beneficiari sono cambiate nel tempo, con un aumento dei contratti a tempo determinato.
• Nella prima valutazione, il 40,9% dei contratti era di collaborazione, il 28,2% a tempo determinato.
• Nella seconda valutazione, i contratti a tempo indeterminato sono aumentati al 54,3%.
• Nella terza indagine, i contratti a tempo determinato sono diventati prevalenti (55,3%).
Interventi per Contrastare il Brain Drain
• Le politiche attuate non hanno incentivato il rientro dei giovani altamente qualificati, contribuendo al brain drain.
• Esiste un mismatch tra l’offerta di lavoro e il sistema produttivo debole.
• Le politiche non hanno aumentato le capacità assorbitive delle imprese regionali.
• Il fenomeno del brain drain è accentuato dalla scarsa offerta di lavoro coerente con le qualifiche.
Iniziative per il Ritorno dei Giovani
• Sono necessarie azioni per attrarre e far tornare i giovani nei territori di origine.
• Interventi per ripristinare servizi pubblici essenziali e ridurre la disoccupazione sono fondamentali.
• Il microcredito ha mostrato risultati positivi per i disoccupati, con l’89% che ha avviato attività imprenditoriali.
• I tirocini in aziende locali hanno contribuito a mantenere i giovani nel territorio.
• È necessario passare dal brain drain alla brain circulation, creando reti di conoscenze tra chi emigra e il territorio d’origine.
• Si deve riflettere su come attrarre talenti e superare gli ostacoli all’ingresso di giovani qualificati in Italia.